Propongo qui una riflessione personale sui risultati di una ricerca psicosociale condotta da SPS, Studio di Psicosociologia di Roma sulla “rappresentazione dell’esordio della pandemia Covid-19 e del conseguente lockdown in Italia”, pubblicata in versione non definitiva al link urly.it/389rr (verrà in seguito pubblicata sul n. 2, 2020, della Rivista di Psicologia Clinica online) e che vi invito a scaricare e leggere, sia per il suo utile contributo alla comprensione del fenomeno sociale – a cui tutti stiamo partecipando – generato dalla diffusione del virus Covid-19, che per poter contestualizzare e comprendere le mie considerazioni.
Questa mia riflessione sui risultati di questa ricerca scaturisce dalla messa in relazione di tre elementi:
- La distribuzione dei cluster nello spazio fattoriale e le loro reciproche relazioni
- Il rapporto tra le simbolizzazioni affettive emergenti da ciascun cluster e l’immaginario collettivo complessivo che essi rappresentano rispetto al tema coronavirus
- La ricerca di un elemento orientante/influenzante il processo di costruzione sociale della realtà sociale legata al fenomeno Covid-19 e la sua individuazione nel ruolo dei mass media (in particolare attraverso il mezzo televisivo), quale mediatore nella gestione politica dell’emergenza
Veniamo alle ipotesi interpretative che ne sono emerse.
Il primo fattore mi sembra rappresentare l’adesione adempitiva e acritica alla rappresentazione dicotomica del coronavirus, proposta dai mass media, come qualcosa di cui avere il terrore perché causa di morte certa ed in condizioni estremamente angoscianti, in ospedale (cluster 3) o di un rischio – quasi neanche pensabile – da evitare chiudendosi in casa ricorrendo a ritualità scaramantiche collettive mediante la riduzione della relazionalità (proposta dai mass media quale fattore principale di contagio) ad una comunicazione via internet (cluster 4). Entrambi i cluster di questo fattore sembrano accomunati dalla perdita di una ricerca di riscontro soggettivo diretto con la realtà (mediato invece quasi esclusivamente dal discorso mediatico) e da una delega quasi totale del potere decisionale individuale al potere politico (se non forse proprio al potere della comunicazione mediatica), che governa il processo di gestione degli effetti dell’emergenza Covid 19 sulla popolazione. In tal senso, entrambi i cluster evidenziano la tendenza ad un asservimento quasi volontario delle persone ad una logica relazionale orientata al possesso dell’altro piuttosto che al reciproco scambio produttivo; logica che sembra proposta dalla politica mediante una comunicazione mediatica che si rivolgeva ai cittadini quasi come a dei soggetti privi di capacità di intendere e di volere e quindi da indirizzare e controllare attentamente nel loro agire quotidiano. In tal modo sembra venire a perdersi la possibilità di una modalità di interazione orientata allo scambio reciprocamente produttivo tra cittadinanza, politica e mass media, che finisce per concentrare il potere decisionale in uno o due di questi attori, escludendo quasi del tutto la partecipazione (diretta o indiretta) dei cittadini nella gestione di questo evento sociale, politico ed economico, oltreché sanitario, da cui sono impattati in maniera diretta. A questo proposito si aprirebbe una più ampia riflessione sul tema relativo all’impatto sulla democrazia (diretta e indiretta) dell’evento Covid 19, alla luce delle riflessioni sviluppate soprattutto in ambito sociologico e politologico (Bobbio 2013, Dente 2011, Dryzek 2012, Fischer 2005, Fischer & Forester 1993, Regonini 1995, Yanow 1996), che però in questo momento richiederebbe un’ulteriore disponibilità di tempo per essere adeguatamente approfondita.
Sul fattore 3 i cluster 5 e 3 sembrano rappresentare una parte del “prima” e del “durante” di questa costruzione sociale egemonica dell’esperienza soggettiva col coronavirus: il “prima” come preoccupazione crescente per l’emergenza sempre più vicina, rispecchiante l’escalation di tensione proposta dai mass media prima del lockdown (il cluster 5, caratterizzato dalle interviste fatte prima del lockdown) e il “durante” come terrore per il Covid 19 equivalente a morte certa in ospedale (cluster 3). Quindi anche qui sembra che non ci si sposti da un vissuto scontato del fenomeno influenzato dai media, prima ancora dell’emergere sulla scena della gestione politica dell’emergenza per mano dei Decreti del Presidente del Consiglio.
Il fattore 4 sembra invece mostrare – col cluster 1 – gli effetti collaterali dell’adempimento quiescente al lato ritualistico-scaramantico della difesa maniacale dal Covid 19: le conseguenze negative del chiudersi in casa senza più relazioni fisiche – se non mediate da internet – o entro soffocanti dimensioni familiari generative di forti disagi e malesseri, nonostante lo scampato pericolo del contagio. Questo cluster 1, in quanto rappresentante di possibili “crisi” domestiche, sembra aprire alla possibilità di cambiamenti nell’adesione acritica al binomio “covid-terrore”, senza speranza di salvezza e “covid-da scongiurare” attraverso ritualità scaramantiche mediate dalla comunicazione via internet, in quanto mostra gli effetti collaterali, non previsti, del secondo di questi due schemi e quindi il suo fallimento collusivo nel mediare la convivenza soggettiva e collettiva col virus. In tal senso la crisi proposta da questo cluster potrebbe indurre ad una ricerca di recupero di potere decisionale individuale e collettivo volto ad individuare nuove modalità di mediazione della convivenza nello scenario corrente.
L’unico fattore e cluster che mi sembra rimandare a vissuti non completamente appiattiti su un’adesione acritica alle rappresentazioni del fenomeno proposte dal discorso mediatico mainstream è il secondo; salvo però apparire a sua volta appiattirsi forse sulle posizioni di un dissenso proposte dai canali mediatici della contro-informazione, secondo la logica dicotomica della “fabbrica del consenso” (Herman, Chomsky, 2014) e della “fabbrica del dissenso” (Chossudovsky 2011). In questo cluster troviamo infatti una rappresentazione emozionata della vicenda che va un po’ oltre la dicotomia covid come terrore, in quanto equivalente a morte certa e covid-da esorcizzare tramite rituali scaramantici via internet. Vi è infatti un riferimento a come il fenomeno sociale Covid 19 implichi anche un ruolo della politica e del governo (non solo nella mala gestione della sanità pubblica), dell’economia, della globalizzazione, del capitalismo, della finanza (globale), del guadagnare, della democrazia e della solidarietà, quali fattori che possono aver contribuito a generare il problema e su cui esso manifesta le sue conseguenze, oltre che sul piano della salute. E difatti queste sono tutte dimensioni su cui ha avuto un profondo e drammatico impatto globale la gestione politica della crisi global Covid 19. Sono presenti in questo cluster cinque verbi, a mio parere, molto interessanti: giudicare, dimenticare, affidare, immaginare e risollevare, che sembrano rimandare a possibili, ma differenti – nel senso e nei possibili esiti – azioni da mettere in atto, quale espressione di un tentativo di recupero del potere decisionale individuale e collettivo – forse come cittadini – nei confronti delle istituzioni deputate a gestire questa situazione (politica, governo, sistema sanitario, Salvini, economia, finanza, Trump). Questi verbi sembrano rimandare a diversi possibili percorsi per rapportarsi alla possibilità di un futuro, dopo questa crisi: si potrà ancora immaginare un futuro dopo il coronavirus? Chi giudicherà l’operato di chi era istituzionalmente deputato a gestire questa crisi? Si dovrà forse dimenticare tutto e proseguire come se nulla fosse successo? Sarà possibile risollevarsi da questa crisi? Ci si dovrà affidare a qualcuno, e a chi, per sperare che le cose si rimettano per il verso giusto? verrebbe da pensare, rispetto a quest’ultimo punto, se in ciò non ci sia un rimando all’affidarsi alla Divina Provvidenza, come per la peste nei Promessi Sposi di Manzoni o all’affidarsi a Trump, come in una delle diverse forme di dissenso all’egemonia culturale della rappresentazione mainstream del fenomeno globale coronavirus.
Le simbolizzazioni affettive emergenti dai cluster sembrano quindi evidenziare/rispecchiare una modalità quasi del tutto eterodiretta e priva di spirito critico e autonomia nel vivere l’esperienza legata al fenomeno coronavirus, secondo i due modelli proposti dal “mainstream mediatico” e dalla “contro-informazione”, che sembrano organizzare il consenso ed il dissenso verso l’egemonia culturale proposta dalla gestione politica globale di questo evento sociale.
La conclusione, non ottimistica, che emerge dalla sintesi di queste considerazioni è la quasi totale assenza di un pensiero emozionato altro, autonomo, critico, in cerca di riscontri di realtà, differente dai pensieri dicotomicamente contrapposti di chi accetta acriticamente il modello Covid terrore/scarmanzia e di chi contesta questo modello mainstream confidando nell’attesa messianica della Divina Provvidenza o di Trump. In entrambi gli scenari infatti sembra uscirne perdente la possibilità di un’efficace integrazione tra i due modi di essere della mente (conscio-razionale, inconscio-emozionale), orientata all’esplorazione e costruzione attiva, condivisa e partecipata di nuove forme di convivenza sociale, a cui inevitabilmente ci chiama la profonda crisi economica, sociale, politica, esistenziale ed ambientale, oltreché sanitaria che stiamo attraversando a livello globale, al di là degli scenari scontati di chi vede la soluzione di tutto nella realizzazione di un vaccino che ci difenda dal “male altro” coronavirus e di chi all’opposto, vedrebbe in questo un passo avanti nella realizzazione di un piano diabolico (il cosiddetto New World Order), quale forma di dominio incontrastato sull’umanità; entrambe accomunate dalla delega del potere decisionale individuale ad un “potente altro” e quindi dalla complicità nella costruzione di un ordine sociale fondato sulle fantasie di potere e possesso dell’altro e quindi di involuzione sociale collettiva in termini di democrazia e giustizia sociale.
Riferimenti bibliografici
Bobbio, L. (a cura di), (2013). La qualità della deliberazione. Processi dialogici tra cittadini, Roma, Carocci Editore.
Chossudovsky, M. (2011). Manufacturing Dissent: The Antiglobalization Movement is Funded by the Corporate Elites, GlobalResearch.ca, September 20, 2011, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=21110
Dente, B. (2011). Le decisioni di policy. Bologna: Il Mulino
Dryzek, J. (2002). A post-positivist policy-analytic travelogue. The Good Society, 11(1), 32–26. Accessed 5 January 2012 http://muse.jhu.edu/journals/good_society/v011/11.1dryzek.html.
Fischer F. & Forester J. (eds.). (1993). The Argumentative Turn in Policy Analysis and Planning. Durham: Duke University Press
Fischer, F. (1993). “Citizen participation and the democratization of policy expertise: from theoretical inquiry to practical cases”, Policy Sciences, 26: 165-187.
Fischer, F. (2005). Reframing Public Policy. Oxford: Oxford University Press.
Herman, E. S., Chomsky, N. (2014). La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Milano, Il Saggiatore
Regonini, G. (a cura di), (1995). Politiche pubbliche e democrazia, Napoli, Edizioni scientifiche italiane.
Yanow, D. (1996). How Does a Policy Mean? Interpreting Policy and Organizational Actions, Georgetown University Press: Washington