Decentramento urbano e sviluppo locale

Il fenomeno del decentramento urbano inizia a manifestarsi in Italia nella seconda metà degli anni sessanta ed il suo sviluppo può essere articolato secondo quattro fasi principali: una di tipo partecipativo, una di tipo istituzionalizzazione, una amministrativa ed una di municipalizzazione (Spalla 2012).

La prima fase di questo processo – riconducibile al periodo 1965-1976 – prende avvio in maniera spontanea (in assenza di norme statali e precisi accordi interistituzionali locali) in relazione allo specifico clima politico di quegli anni e si caratterizza come un tentativo messo in atto autonomamente da alcune giunte comunali (inizialmente di sinistra e successivamente anche di centro-sinistra e di centro) per organizzare e gestire il dissenso sociale che si manifesta in quegli anni, in risposta alla profonda crisi di funzionamento del sistema politico. Queste iniziative danno vita ad esperienze fortemente partecipative, connotate dalla centralità del ruolo delle comunità sociali locali.

Il processo in atto viene formalizzato con la legge 278 del 1976 sul decentramento e la partecipazione dei cittadini, che dà avvio alla seconda fase, di istituzionalizzazione, stabilendo la possibilità per i Comuni con popolazione non inferiore a 30.000 abitanti e quelli comprendenti frazioni di potersi organizzare in Circoscrizioni. In questa fase il decentramento prende la forma della gestione locale di alcuni servizi (in particolare quelli sociali) e si caratterizza sempre per un ruolo importante dell’ambiente sociale, che però nel frattempo è cambiato, assumendo la forma di associazionismo diffuso (di natura culturale, sportivo, di assistenza e beneficenza) e di gruppi di cittadini, che si caratterizzano per un tono meno rivendicativo rispetto alla prima fase.

Nella seconda metà degli anni ottanta si assiste ad un nuovo mutamento di scenario: si riduce la pressione da parte dell’ambiente sociale (scompaiono i gruppi portatori di interessi collettivi che avevano dato avvio al processo di decentramento, caratterizzandone le prime due fasi e aumentano le associazioni no profit) e si assiste all’emergere di una forte esigenza di maggiore efficienza amministrativa da parte degli enti locali, che dà vita ad una nuova fase del processo di decentramento, caratterizzato – nelle grandi città – dall’assegnazione alle Circoscrizioni di alcune funzioni amministrative, allo scopo di alleggerire l’attività comunale (in particolare funzioni di certificazione e gestione dei servizi sociali e culturali, quali biblioteche, centri sociali, sedi di associazioni e manifestazioni culturali). Questo trasferimento di funzioni è stato recepito e tradotto in norme con la riforma delle autonomie locali (L. 142/90) che ha stabilito l’obbligo della suddivisione in Circoscrizioni per i Comuni capoluoghi di Provincia e per quelli con popolazione superiore ai 100.000 abitanti (consentendo facoltativamente tale possibilità anche a quelli con popolazione compresa tra i 30.000 ed i 100.000 abitanti) e ha definito le funzioni delle Circoscrizioni.

Nel primo decennio del ventunesimo secolo prende forma la quarta fase del processo di decentramento, che si sviluppa secondo un duplice percorso: da un lato si dà impulso allo sviluppo di nuovi poteri per le Circoscrizioni delle grandi città, nella direzione della trasformazione in Municipi Metropolitani, dall’altra si pone termine – di fatto – all’esperienza del decentramento per i Comuni di medie dimensioni (Spalla 2012). Questo processo avviene attraverso una serie di atti legislativi che caratterizzano questo periodo. In una prima fase, la legge 269 del 1999 ed il testo unico sugli enti locali del 2000 stabiliscono la possibilità di attribuire ulteriori forme di decentramento ai Comuni con più di 300.000 abitanti, mantenendo facoltativa la possibilità di istituire le Circoscrizioni per i Comuni tra 30.000 e 100.000 abitanti, successivamente, ulteriori vincoli in questa direzione vengono posti dalla legge finanziaria del 2008 (L. 244/07), che modificando il testo unico sugli enti locali, ha riconosciuto la possibilità della suddivisione in Circoscrizioni alle sole città con più di 250.000 abitanti e aumentato il limite per la possibilità facoltativa a 100.000 abitanti, riducendo cosi le 616 Circoscrizioni Comunali italiane a circa 250 (Spalla 2012).

A questo proposito c’è da rilevare inoltre, che l’orientamento verso un maggior potere di decentramento nelle grandi Città – come nel caso di Roma – non corrisponde ad un bilancio totalmente positivo delle esperienze concretamente messe in atto. Nel caso di Roma infatti, se sul piano amministrativo si può certamente valutare positivamente il processo di alleggerimento della gestione amministrativa centrale del Comune, operato con il trasferimento di funzioni alle Circoscrizioni (di fatto percepite come organi periferici di un amministrazione centrale e lontana dai cittadini), non si può dire lo stesso sul piano della partecipazione dei cittadini, ostacolata nella sua piena attuazione, dalla scarsità di risorse e dalla conflittualità tra livello comunale e circoscrizionale rispetto agli obiettivi e le strategie relativi alla gestione dei servizi (rispetto ai quali il livello comunale mantiene comunque una funzione di indirizzo e coordinamento che ostacola la piena autonomia circoscrizionale). Questo anche per effetto della contrapposizione di visioni e di logiche operative tra i due livelli comunale e circoscrizionale (spesso di natura più ideologica che di contenuto), che di fatto restano ancorati ad un modello “centro-periferia” e ad una logica di tipo amministrativo che ostacola la possibilità di una reale partecipazione deliberativa da parte dei territori, in termini di sussidiarietà verticale.

Nella loro operatività quotidiana infatti, i Municipi si trovano ancora nella condizione di dover operare rispetto a regole del gioco definite dal livello comunale (centrale), secondo una logica molto simile a quella ampiamente criticata rispetto alle elezioni primarie, dove di fatto la possibilità di partecipazione è vincolata fortemente entro le opzioni pre-definite dalle direzioni di partito (Pont 2005). Sembrerebbe quindi, che anche laddove il decentramento sia sopravvissuto, abbia perso quella sua iniziale matrice fortemente partecipativa, ancorata alla domanda sociale dei territori, per trasformarsi in un vantaggio amministrativo per il solo livello comunale centrale.

In altre parole sembrerebbe che questa interessante esperienza organizzativa e culturale stia finendo per essere riassorbita entro le logiche burocratiche della cultura amministrativa, svuotandosi del suo potenziale di cambiamento, quale possibile strumento di ascolto e risposta condivisa alle esigenze delle comunità locali. Senz’altro questa evoluzione può essere riconducibile alle trasformazioni del clima sociale entro cui è andata evolvendosi l’esperienza del decentramento italiano, dagli anni sessanta ad oggi, con il progressivo spostamento di focus da una dimensione comunitaria e collettiva a quella tipicamente individualistica della società contemporanea.

D’altro lato, va evidenziato lo spostamento dal piano della partecipazione a quello amministrativo, con il passaggio da un approccio al decentramento come forma nuova di risposta a domande sociali, ad uno centrato – in maniera più autoreferenzialesull’alleggerimento funzionale dell’amministrazione comunale. A questo proposito c’è inoltre da rilevare come – sin dall’inizio – ci sia comunque stata una certa tendenza da parte delle amministrazioni comunali a vedere il decentramento come uno strumento di controllo del dissenso e di conseguenza, la partecipazione come qualcosa di strumentale ad esso. Allo stesso tempo c’è da sottolineare un’ulteriore questione legata alla necessità di inquadrare i rapporti tra Comuni e Circoscrizioni delle grandi città in termini di governance e di sussidiarietà (verticale e orizzontale), per superare lo schema centro-periferia ancora prevalente.

Si pone cioè la questione di una definizione condivisa di nuove regole del gioco per organizzare i rapporti tra i diversi attori coinvolti nel governo locale delle grandi aree urbane, secondo una prospettiva che guardi a questo fenomeno come un ampio processo culturale prodotto socialmente e storicamente fondato. Questo consentirebbe di sottolineare la natura contestuale di questo fenomeno, come uno dei modi possibili di configurazione dei rapporti tra enti locali e cittadini e non il modo naturale di evoluzione di questi rapporti. Ciò aprirebbe alla possibilità di pensare possibili altri modi di configurazione di tali rapporti ed alla possibilità quindi di ipotizzare strategie di cambiamento sociale a tal fine orientate.

In tal senso potrebbe essere utile analizzare come si è venuto costruendo uno specifico discorso sociale intorno al tema del decentramento in Italia, anche come espressione di specifiche dinamiche di potere tra i diversi soggetti in gioco in questa costruzione discorsiva della realtà sociale. In tal senso si possono individuare diversi strumenti e metodologie di analisi di questo processo, fondate sulla lettura dei processi discorsivi di costruzione della realtà sociale, riconducibili sostanzialmente a due tipi di prospettive: da una parte l’approccio allo studio dei discorsi intesi come pratica sociale, in relazione alle relazioni tra linguaggio e potere avviato da Foucault (1971) e sviluppato successivamente da autori come Fairclough (2003) e Van Dijk (2008) e dall’altro l’approccio di matrice psicoanalitica, fondato sul principio della doppia referenza (lessicale e simbolica), avviato da Fornari (1979) e sulla teoria del duplice modo di funzionamento della mente – cosciente ed inconscio – di Matte Blanco (1981), sviluppata da Carli e Paniccia (2002) attraverso l’integrazione con le moderne tecniche di statistica lessicometrica.

Riferimenti bibliografici

Carli, R., Paniccia R. M. (2002). L’Analisi Emozionale del Testo, Franco Angeli, Milano.

Fairclough, N. (2003). Analysing Discourse: Textual Analysis for Social Research. Routledge, London

Fornari, F. (1979). I fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio. Boringhieri, Torino

Foucault, M. (1971). L’archeologia del sapere. Rizzoli, Milano

Matte Blanco, I. (1981). L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica. Einaudi, Torino

Pont, R. (2005). La democrazia partecipativa l’esperienza di Porto Alegre e i progetti di democrazia. Edizioni Alegre, Roma

Spalla, F. (2012). Il governo locale in Italia. Istituzioni in trasformazione. Mc Graw Hill, Milano

Van Dijk, T. (2008). Discourse and Power. Contributions to Critical Discourse Studies. Palgrave MacMillan, Houndsmills

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