Edward T. Hall e le “fogne del comportamento”.

“Il riversarsi a ritmo esplosivo della popolazione nelle città sta determinando in tutto il mondo una serie di “fogne del comportamento[1]” più micidiali e fatali della stessa bomba all’idrogeno: perché qui l’uomo si trova di fronte ad una reazione a catena che non è in grado di controllare, non conoscendo quasi nulla degli atomi culturali che la producono. Se le conoscenze acquisite sulle reazioni degli animali alle condizioni di sovraffollamento o di un habitat inadeguato valgono anche per il genere umano, dobbiamo attenderci conseguenze terribili per le nostre “fogne urbane”. Gli studi di etologia e di prossemica comparata dovrebbero metterci già ora in guardia dai pericoli che l’invasione delle città da parte di masse di popolazioni rurali sta provocando. La sistemazione di questi nuovi cittadini non comporta soltanto problemi economici, ma investe la totalità del modo di vivere: essi si trovano di fronte a strani e complicati sistemi di comunicazione, ad un’organizzazione dello spazio non congeniale, e infine avvertono il profondo malessere di una vita frenetica, che tende a trasformare sempre più le nostre città in vere e proprie “fogne del comportamento” (Edward T. Hall, La dimensione nascosta, 1966, tr. it. Milano: Bompiani, p. 218).

Ripensando a queste parole, la prima immagine che mi viene in mente – dopo quella delle megalopoli asiatiche – è quella delle vele di Scampia a Napoli, un esperimento di organizzazione sociale dello spazio davvero mal riuscito, al quale purtroppo non si riesce a trovare soluzione, forse anche perché non se ne riesce a mettere bene a fuoco le cause. E forse fenomeni di spettacolarizzazione mediatizzata della realtà come quello della serie Gomorra, in questo non aiutano.

[1] “A questo proposito gli studi di John Calhoun sui topi hanno aperto la strada, fissando i punti più importanti. Sua è la nozione classica di “fogna del comportamento“, cioè l’insieme di impressionanti distorsioni che si manifestano nell’agire di individui viventi in uno stato di densità di popolazione doppia rispetto a quella che produce il massimo di tensione in una comunità animale selvatica. In tali condizioni di patologia sociale insorgono violenze diffuse, del tutto anormali, comportamenti promiscui, alterazioni dei ruoli seguiti in precedenza. In certe metropoli pure l’uomo è entrato nella “fogna“, di Calhoun, con esiti ben esemplificati dalla cronaca quotidiana. Gli studi di prossemica hanno permesso di acquisire alcuni punti fermi per quel che riguarda il normale livello interattivo. Così nei rapporti interindividuali tra gli adulti si possono seguire due strategie opposte: quella del “contatto” e quella del “non-contatto“. Nel primo caso i soggetti tendono a stare intimamente vicini in varie occasioni (si pensi alle foche, agli ippopotami, a certi pappagallini); nel secondo caso essi tendono a mantenersi separati (come cavalli, cani, gatti). All’interno della nostra specie troviamo ambedue i comportamenti, a seconda delle culture. Incredibilmente ancora oggi molti, ignari dei progressi della prossemica, credono che tra gli uomini i vari tipi di spazio costituiscano una serie di dimensioni oggettive, uguali per tutti gli individui. Alla base di tale credenza sta l’idea astratta derivante dall’illuminismo, secondo cui l’uomo e l’animale sarebbero macchine strutturate in serie, appiattite da un egualitarismo che relega nella marginalità ogni differenza. In contrasto con tutto ciò, invece, il modo di percepire e vivere la dimensione spaziale muta più o meno pure all’interno della nostra specie, tra una cultura e l’altra. Così i rapporti e le relazioni tra gli individui, esprimendosi, appunto, nello spazio, sono profondamente segnati dal modo di concepirlo, quindi la loro struttura varia da cultura a cultura in maniera radicale” (Giovanni Monastra, Astuzie della natura e richiami etnici: un percorso di ricerca, Diorama letterario, n. 166, 1993).

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