Come psicologo, da quasi vent’anni mi occupo delle dinamiche relazionali prodotte dal potere come fattore motivazionale dell’agire umano. Operando nel campo della psicologia clinica e del lavoro, ho avuto modo di confrontarmi con gli effetti del potere sulle dinamiche organizzative ed interpersonali e con il progressivo insinuarsi di un’”ideologia globalista di mercato” (Steger 2002) a tutti i livelli della vita lavorativa ed extra-lavorativa delle persone. Cosicché, col tempo, ho spostato la mia attenzione sulle dinamiche di potere che caratterizzano l’attuale ordine sociale egemonico fondato sul dominio finanziario, ed in particolare sui fattori psicosociali che ne sono alla base, per capirne meglio la genesi ed individuarne possibili linee di sviluppo che consentano di intervenire adeguatamente su di esso, per innescare dei meccanismi di cambiamento contro-egemonico.
Con questa riflessione vorrei portare l’attenzione sulla necessità di approfondire un’analisi di tipo psicosociologico del potere, quale fattore alla base dell’attuale crisi di civiltà che stiamo affrontando (di cui la crisi da coronavirus sembra uno dei segnali più eclatanti, ma non il solo), per comprendere meglio l’intreccio di dinamiche inconsce e sociali che determinano la sua attuale configurazione ed individuarne possibili linee di sviluppo, che consentano di condurlo verso forme di configurazione più coerenti con la possibilità di uno sviluppo culturale e spirituale, pacifico ed armonioso, di tutto il genere umano, secondo una logica di maggiore diffusione e democrazia, al servizio dello sviluppo del bene comune. Si tratta quindi di fare un’analisi della situazione in corso per capire meglio la reale natura del problema a cui siamo posti di fronte ed i processi che ne hanno determinato lo sviluppo, allo scopo di individuare delle possibili strategie di intervento per il cambiamento, realmente efficaci per il bene collettivo.
La crisi di sistema che stiamo attraversando può essere collegata ad alcune specifiche modalità con cui si manifesta il potere delle classi dominanti, o èlites (Bobbio, Matteucci, Pasquino 2004), che in qualche modo rappresentano anche il “tallone di Achille” del loro sistema di dominio, su cui si potrebbe provare a intervenire per innescare un radicale cambiamento nell’organizzazione sociale da esso prodotto, rivelatasi ormai completamente inefficace nel garantire un armonioso sviluppo della specie umana sul pianeta terra. In questa prima riflessione sul tema mi soffermerò soltanto su uno tra i più importanti di essi. Il potere delle èlites dominanti si manifesta in primo luogo come un “potere su” qualcun’altro e non un “potere di” fare, di per sé produttivo di qualcosa. Questo aspetto può essere interpretato come il segno di una mancanza di capacità o competenza produttiva e di impotenza del potere, perchè esso necessità di un “altro da sé” per fare/produrre quello di cui ha bisogno e sottopone questo “altro” ad uno stretto regime di controllo e sopraffazione, che sembra segnalare un vissuto inconscio di impotenza rispetto alla propria capacità di entrare in relazione con lui, su un piano di scambio e reciprocità. L’”altro” sembra cioè qualcosa (ridotto quindi alla dimensione di oggetto) che serve al potere per poter fare quello che da solo non è capace di fare, ma di cui allo stesso tempo esso ha paura. Rifacendoci al modello della convivenza sociale elaborato dallo psicoanalista Renzo Carli nell’ambito della sua teoria della collusione (Carli, Paniccia 2002, 2003), l’”altro da sé” sembra essere infatti percepito e vissuto emotivamente dalle élites quasi esclusivamente secondo due modalità complementari, ossia come un “nemico” minaccioso, da cui difendersi controllandolo e sottomettendolo per renderlo inoffensivo, o come “amico noto”, da assimilare in tutto e per tutto a sé e alla propria visione della realtà, sempre attraverso il controllo e la sottomissione. Queste due strategie di difesa dalla rischiosa imprevedibilità dell’”altro” vengono messe in atto attraverso due strumenti principali: l’uso della forza, mediante le guerre ed i sistemi militari-polizieschi e la persuasione, mediante i mass media e le nuove tecnologie.
Da questa analisi emerge un elemento importante per mettere a fuoco una dimensione cruciale del problema con cui ci confrontiamo ed individuare possibili strategie di azione per il cambiamento della situazione corrente. La crisi che stiamo attraversando può essere cioè letta come una crisi dei sistemi di governo e regolazione della convivenza sociale, legata anche all’accelerazione e moltiplicazione delle occasioni di contatto-scontro tra differenze e alterità prodotti dalla globalizzazione. Ed in un certo senso dovremmo quasi ringraziare la crisi corrente, perché ha finalmente mostrato in maniera esplicita l’inefficacia di un sistema di regolazione della convivenza fondato sulla rappresentazione emozionale dell’”altro da sé secondo questo duplice schema di “nemico” o” amico noto”, ponendoci di fronte alla necessità di trovare un’alternativa valida a questo modello di organizzazione dell’ordine sociale. Un’ipotesi utile in tal senso può essere individuata nella teoria di Renzo Carli, che ipotizza che un sistema di convivenza più efficace per lo sviluppo umano in generale (nel nostro caso senza distinzioni tra élites e resto del corpo sociale) può essere fondato su una diversa modalità di vissuto/rappresentazione emozionale dell’”altro da sé”, come “amico sconosciuto”; ciò rende possibile sviluppare una forma di relazione tra sé e altro da sé, non più fondata sul controllo dell’altro, ma su una forma di scambio reciproco, creativamente produttivo (non in senso economico, ma nel senso dell’orientamento produttivo di Erich Fromm[1]) ed orientato al bene comune. Questo consente di passare dal fare attraverso l’altro, per il proprio interesse personale, al fare insieme all’altro, per l’interesse comune. L’”amico sconosciuto” è, cioè, qualcuno che è riconosciuto nella propria diversità, come possibile risorsa comune. Non si può dare per scontato che non possa essere pericoloso, ma neanche che lo debba essere per forza. Questo può essere capito soltanto conoscendo l’altro e per farlo bisogna interagire con lui, il che comporta la necessità di sviluppare delle regole del gioco condivise per interagire, che consentano di limitare e governare il rischio delle reciproche possibili manifestazioni di aggressività (Carli, Paniccia 2002).
Riferimenti bibliografici
Bobbio, N., Matteucci, N. Pasquino, G. (2004). Dizionario di Politica, Milano: UTET
Carli, R., Paniccia, R. M. (2002). L’analisi emozionale del testo. Uno strumento psicologico per leggere testi e discorsi. Milano: Franco Angeli
Carli R., Paniccia R. M. (2003), Analisi della domanda. Teoria e tecnica dell’intervento in psicologia clinica, Il Mulino, Bologna.
Fromm, E. (1970). Dalla parte dell’uomo, Casa Ed. Astrolabio, Roma
Steger, M. B. (2002). Globalism: The New Market Ideology, Oxford: Bowman and Littlefield
[1] Riferito cioè alla capacità, propria della specie umana, di “trasformare i materiali che trova a portata di mano, impiegare la propria ragione e la propria immaginazione”, quale sua condizione fondamentale per poter vivere (E. Fromm 1970).