Politiche sulle tossicodipendenze in Italia

Nel lontano novembre 2000 mi occupai di un’analisi del discorso pubblico italiano sul tema delle politiche sulle tossicodipendenze, in occasione della III Conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope tenutasi a Genova dal 28 al 30 novembre 2000 *. Ritornando su questi temi, negli ultimi giorni, ho notato quanto la situazione attuale sia drammaticamente quasi immutata.

Di seguito, l’analisi dei temi della conferenza e le mie considerazioni.

Questi i temi emersi dall’analisi degli interventi alla conferenza di Genova:

1. La decarcerizzazione e le modalità concrete di una sua applicazione in base a

norme già esistenti ma inapplicate, attraverso le Comunità di recupero ed interventi

anche non residenziali nei Servizi ed i relativi problemi inerenti alle risorse finanziare

necessarie;

2. La valutazione degli interventi attuati e dei modelli di riferimento, rispetto

all’affermarsi in Italia di un’orientamento culturale alla qualità, alla riorganizzazione

gestionale dei Servizi, alla medicina fondata sull’evidenza;

3. La libertà e l’autonomia di scelta del “paziente-utente-cittadino”, anche qui in

rapporto al diffondersi di una nuova cultura del rapporto medico-paziente, in cui

quest’ultimo acquisti sempre più potere di negoziazione rispetto alla gestione della

propria “cura”;

4. I nuovi fenomeni di abuso rispetto a soggetti e oggetti (nuove sostanze, nuove

modalità di assunzione ritualizzate, nuove finalità e contesti) e la rinnovata esigenza

di conoscenza dell’universo giovanile, pur sempre relegato entro la dimensione

riduttiva del disagio adolescenziale;

5. La necessità di coordinamento a livello nazionale ed europeo sulle strategie di lotta

alla droga, con una dettagliata descrizione delle realtà ed orientamenti Europei,

rapportati a quelli Italiani e confrontati in base alla diversa attenzione prestata alle

sostanze (prevalente orientamento in ambito europeo) o alla qualità delle relazione e

degli stili di vita (punto di vista italiano);

6. Il problema di una concreta realizzazione di quel modello di integrazione a rete tra

le diverse strutture territoriali, previsto dalle leggi (ultima la legge quadro sui servizi

sociali alla persona), ma contrastato da modelli culturali organizzativi dei Servizi

fortemente settorializzati. L’integrazione a rete prevede un’organizzazione orizzontale

e verticale tra pubblico e terzo settore, e tra Enti Locali, Regioni, Province, Comuni,

con un ruolo eminentemente organizzativo e di finanziamento del Pubblico e

operativo, in termini di dispiegamento di risorse umane del Privato sociale; anche qui

con grossi problemi legati al budget dei servizi e alla logica finora dominante, rivolta

all’utilizzo del terzo settore e del volontariato anche come strategia per abbattere i

costi;

7. La questione della comorbilità e del rapporto tra servizi per le tossicodipendenze e

di Psichiatria rispetto ai bisogni complessi dell’”utenza”, che riguarda più in generale i

modelli di lettura del fenomeno, ed in un certo senso il tentativo della Psichiatria, di

riappropriarsi di un ambito di competenza di difficile gestione;

8. La necessità di un approccio adeguato ai problemi dell’alcolismo e del tabagismo e relativi momenti di conoscenza dei fenomeni e dei modi di affrontarli;

9. La specificità di interventi rivolti alle madri tossicodipendenti ed ai proprio figli in

un’ottica di sostegno alla genitorialità;

10. I problemi di una corretta applicazione dell’art.75 della legge 309 del ‘90, per le

sanzioni amministrative e l’utilizzo dei colloqui come aggancio con i ragazzi per

proporre loro percorsi di consapevolezza rispetto al problema, anche in rapporto alla

sottovalutazione delle nuove droghe e quindi al non pensarsi tossicodipendenti, in

quanto diversi dagli “eroinomani”;

11. Il punto della situazione sulla funzionalità dei C.I.C. all’interno delle scuole;

12. La valutazione degli interventi basati sull’utilizzo di metadone in termini però di

efficienza “tecnica” e non di qualità della vita dei tossicodipendenti, con un raffronto

con la letteratura europea e internazionale sul tema;

13. La politica della riduzione del danno, che ha dato adito ad un forte scontro tra

posizioni opposte, sottolineando il cambiamento culturale di approccio al fenomeno

che propone come obiettivo non più “l’uscita dalla tossicodipendenza”, il

raggiungimento dello stato “drug free”, ma la possibilità invece, di poter operare in

un’ottica generale di promozione della salute e di consapevolezza del

tossicodipendente, anche in una condizione di dipendenza. In tal modo si propone

anche una riflessione sul senso generale del concetto di recupero;

14. I problemi connessi con strategie di promozione di inserimento lavorativo per i

tossicodipendenti e non solo per gli ex-tossicodipendenti, attraverso tirocini formativi,

agevolazioni all’imprenditorialità, inserimenti in percorsi protetti, che però non creino

una sorta di discriminazione al contrario;

15. La necessità di studiare i nuovi fenomeni, di trovare nuovi modelli di lettura ed

intervento per fenomeni nuovi, attraverso la formazione degli operatori e la

riorganizzazione di Servizi, pensati per la tossicodipendenza da eroina;

16. Le nuove forme di “addiction” come il gioco d’azzardo e le altre dipendenze legate

a comportamenti compulsivi, portando l’attenzione sull’aspetto centrale dell’addiction

rispetto alle sostanze di abuso e ad una dipendenza prettamente fisica;

Inoltre sono stati presentati i risultati di diversi interventi nelle specifiche realtà

italiane orientati a un’adeguamento alle nuove forme di abuso. E non ultimo, è stato

presentato uno studio sui modi di parlare di tossicodipendenza, attraverso l’esame di

quotidiani italiani nazionali e locali, che ha evidenziato in primo luogo il ruolo dei

giovani come oggetti di comunicazione e non soggetti, con riferimento al target

specifico dei quotidiani esaminati, rappresentato dai genitori dei ragazzi, lettori e in

particolari occasioni elettori. Paradossalmente risulta che tutti parlino dei giovani,

esperti a vario titolo e gente comune, meno che i giovani.

Considerazioni

In generale, dall’analisi dei temi trattati sembra emergere come dominante un

approccio di tipo individualistico al problema, o meglio, si parla di tossicodipendenza,

ma poi quando si pensano modelli di intervento, si resta legati all’intervento sui ragazzi”, individualmente o in gruppo, ma un gruppo inteso come sostegno per un lavoro che è comunque sull’individuo singolo, sul suo stile di vita, sul suo modo di vedersi. Trattando delle nuove forme di abuso, dei nuovi comportamenti trasgressivi dei giovani, si mettono in gioco modelli condivisi di vita, di idee, subculture, ma poi non si usano queste risorse per pensare modelli di contrasto che incidano proprio sui modi del condividere, emozionalmente, contesti comuni. Emerge un gap tra i modi di leggere i fenomeni ed i modelli di intervento; come se si trattasse di due momenti nettamente separati, una diagnosi e poi, scissa da essa, una “cura”, perdendo il focus sul momento relazionale in cui si costruisce il rapporto di conoscenza del fenomeno, come momento di intervento.

Un’altra considerazione riguarda i destinatari degli interventi: esclusivamente i

“ragazzi” ed i loro genitori, da sostenere nella “ferita narcisistica” di ritrovarsi un figlio

tossicodipendente. Non c’è attenzione alla definizione dei momenti istituenti e

organizzativi degli interventi, di individuazione dei “clienti” e delle loro specificità, di

cosa possono richiedere effettivamente i “ragazzi”, ad esempio in una fase di

prevenzione del fenomeno, e come ridisegnare i Servizi in tal senso. Non c’è

attenzione in tutto il dibattito sulla riorganizzazione dei Servizi sui modi in cui gli

operatori si vivono nei “Servizi” e dei modi in cui si propongono all’”utenza”, e più in

generale sulle rappresentazioni sociali giocate intorno ai Servizi. C’è una sorta di

comportamentismo operazionale, di tecnicismo incapace di esplorare nuovi spazi

categoriali di analisi, in rapporto ad inevitabili momenti di stasi e di “confusione

categoriale”. Uno spunto interessante viene dalla sottolineatura del mancato ruolo di

soggetto dei giovani nei discorsi sulle tossicodipendenze, puntando proprio ad

esplorare in chiave di modelli condivisi emozionalmente i codici linguistici strutturanti

il fare gruppo, le cosidette “subculture”; cosi come pure risulta interessante la pista

tracciata dalla cultura della verifica e della qualità, anche se contraddittoria rispetto ai

principi di riferimento.

I modelli culturali** sulle tossicodipendenze

Dall’analisi del contenuto condotta sui testi degli interventi dei partecipanti alla

conferenza sono emersi tre modelli culturali dominanti sul tema delle

tossicodipendenze in Italia. I primi due sono abbastanza “storici” ed evidenti, il terzo

risulta più innovativo e ricco di possibili sviluppi funzionali a una riorganizzazione dei

modelli di intervento su questo tema.

1. La cultura dei ser.T, o del “Pubblico”, che tende in generale a medicalizzare il

fenomeno della tossicodipendenza, proponendo l’idea del tossicodipendente come un malato da “curare e restituire guarito alla società” (per riprendere le parole del

ministro Veronesi). Questo modello culturale richiama a più riprese la validità della  terapia metadonica, con riferimento a numerose ricerche in campo internazionale, anche rispetto al criterio costi/efficacia. Nell’ambito di questo modello culturale emerge una proposta antiproibizionista, che tende a distinguere tra droghe pesanti e droghe leggere, sulla base di criteri quali la ridotta mortalità correlate all’utilizzo di queste ultime e a stroncare definitivamente il pregiudizio circa il ruolo di “ponte” delle droghe leggere rispetto a quelle pesanti. Manca però un adeguato riferimento al tema più generale della qualità di vita del tossicodipendente, cosa che ha suscitato numerose polemiche, per prima da parte della ministra Turco. In generale questo modello culturale presenta una forte connotazione tecnica (la tecnica medica), all’interno della quale si definiscono, più che obiettivi, esiti attesi, autoriferiti alla tecnica stessa: la “guarigione” del “paziente”.

2. La cultura delle Comunità, a forte connotazione di tipo religioso, che polemizza con

la medicalizzazione, puntando tutto sul “recupero” del senso della vita, dello sviluppo

di un progetto di vita autodeterminato dal tossicodipendente attraverso trattamenti

psicosociali e rialibitativi a lungo termine e non sul ricorso ad “altre droghe” (i farmaci

sostitutivi). Anche questo modello risulta fortemente autoreferenziale, in quanto

legato a risultati attesi dei “trattamenti”, riferiti ai valori propri di questa cultura e

quindi risultante privo di veri obiettivi, condivisibili e verificabili nei loro esiti. Entro

questo modello culturale emerge una forte critica alla scelta “politica” dell’Italia per la

riduzione del danno ed il metadone, che secondo questa prospettiva tenderebbero

solo a cronicizzare il problema. Da questo ambito provengono anche forti

rivendicazioni di autonomia e pari dignità tra “Pubblico” e “Privato sociale”, sulla base

di quanto emerso dalla precedente Conferenza sulle tossicodipendenze di Napoli, ed

una spinta verso la piena attuazione delle norme sulla decarcerizzazione e le misure

alternative, che si traducono di fatto in quella che viene definita (nei commenti del

sito ufficiale) “la carcerizzazione privata nelle comunità”. La connotazione specifica di

quest’area sembra essere più di tipo “Ideologico”, rispetto a valori specifici cui sono

improntati scopi e finalità degli interventi del settore, lasciando nel vago la definizione

operativa di quella “piena libertà di scelta dei tossicodipendenti” cui tanto si ambisce.

3. Un modello culturale differente emerge dalla sessione di lavoro sull’etica dei

trattamenti e della prevenzione, espressione di interessanti linee di sviluppo per

l’azione futura. In questo caso viene sottolineato come spesso il tossicodipendente

venga presentato come persona capace di intendere ma non di volere, quasi a

giustificare forme talvolta dannose di trattamento obbligatorio, mentre invece sia

portatore di una visione chiara di sé e della sua situazione e di una richiesta di

trattamento, spesso in contrasto con le idee dell’operatore su diagnosi e trattamento;

operatore che poi si trova di fronte all’alternativa di considerare queste richieste non

utili e quindi eluderle, oppure di limitarsi ad eseguirle automaticamente. Inoltre si

sottolinea che “gli operatori non devono e non possono sentirsi investiti della missione di cambiare la vita, le abitudini, le convinzioni, le scelte”, di quelli che comunque vengono sempre considerati “pazienti” di trattamenti socio-sanitari e si punta su una relazione terapeutica che sia biunivoca, in cui il tossicodipendente abbia voce in capitolo, libertà di scelta, in cui si tenga conto delle sue richieste esplicite e implicite, senza però giungere a mettere compiutamente in discussione il modello medico fondante la rappresentazione alla base della relazione tra “utente” e “servizio”.

Nell’ambito di questo terzo modello culturale si comincia ad intravedere comunque un

riferimento ad una dimensione di committenza sociale più diffusa di recupero dei

tossicodipendenti, considerando l’influenza che questo può avere sul loro specifico

sistema sociale e cominciando quindi a prefigurare un possibile percorso di

superamento della ristretta logica del “paziente/utente” dell’intervento terapeutico.

Metodologicamente l’etica viene vista come una scelta che comprende nella fase di

programmazione degli interventi espliciti obiettivi, metodi e teorie di riferimento chiari

ed indicatori di esito e di processo. Il tutto all’interno di un approccio basato

sull’evidenza delle pratiche. In particolare quindi, questo terzo modello culturale sulle

tossicodipendenze sembra richiamare dei possibili percorsi di sviluppo della

metodologia di approccio ai problemi della tossicodipendenza secondo criteri di

maggiore utilità per i tossicodipendenti e non solo di efficacia di tecniche predefinite o

ideologicamente precostituite.

Note

* Atti della III Conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope (disponibile online alla pagina http://www.federserd.it/files/download/genova2000.pdf)

** Per una disamina del concetto di modello culturale, si veda il testo di Giovanni Bennardo e Victor de Munck “Cultural models: genesid, methods and experiences”

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